Considerazioni sul tema.
Non sono mai stato uno "studioso" del dialetto.
Il vernacolo, quello che di solito parlo, mi è stato involontariamente insegnato da mio padre, mia madre e dai miei nonni che lo parlavano normalmente tra loro.
Da parte mia ho sempre ascoltato questo strano linguaggio con interesse e talvolta chiedevo a loro di ripetere la frase o il modo di dire, mi faceva ridere.
A scuola il dialetto era proibito in modo assoluto.
Quando poi da ragazzino ho cominciato a recitare mi sono sicuramente ritrovato ad ascoltare e parlare una "lingua" che già conoscevo.
Il difficile, caso mai, era scriverlo.
Ossia trovare il modo di scrivere un dialetto comprensibile e di facile lettura.
E qui cominciarono i guai.
Mi rivolsi allora ad Antonio Nicòli, amico, poeta, autore, attore e regista di tante commedie dialettali.
Non fu facile.
Antonio, meticoloso e preciso ricerca da sempre minuziosamente la parola, ne analizza il significato in tutti i suoi aspetti più remoti, ne studia le accentazioni in tutte le sue forme più varie, come la stessa parola, lo stesso concetto possa variare da zona a zona, da rione a rione, da casa a casa e via discorrendo.
Quasi un incubo.
Leggendo però un vecchio libro di "Pasqualon", dono natalizio di mia nonna "Zita", madre di mio padre, mi accorsi che riuscivo a capire molto bene tutti i vari significati delle parole e mi accorsi che forse quello era un modo semplice e facile di "fare" il dialetto,certamente il più comprensibile.
Comincia dunque da li, e presi la mia strada, naturalmente senza nulla togliere al grande Nicòli che è e rimane uno dei massimi cultori dialettali di Pesaro e della regione Marche.
Per quel che mi riguarda lo studio e la ricerca del verbo, a mio parere, serve marginalmente a chi scrive se non a livello di conoscenza.
In pratica se la parola "cruchèi" (gabbiani) non rientra nel mio modo di esprimere il dialetto, mi fa piacere che il "Cruchèl" è il gabbiano pesarese, ma io dico e dirò comunemente "gabièn".
Si badi bene, l'espressione non è errata, è solo un po' italianizzata, parchè anche il dialetto si evolve e cambia, continuamente di anno in anno, di generazione in generazione.
Diciamocelo chiaramente, il dialetto è in via d'estinzione, la globalizzazione, la fusione tra i popoli di tutto il mondo accellera sempre di più questo fenomeno e le nostre radici spariranno insieme al nostro vernacolo.
Ci sono già parole che non si possono più tradurre in dialetto.
Come si traduce personal computer ?? E telefonino cellulare ??
Ho ascoltato volontariamente una conversazione tra due anziani signori che parlavano di televisori al plasma. Uno dei due ha detto : " Mi fiol l'ha cumprèd un de ch'i televisor gross... fén fén...tutt lisc...quei fatt de plasta..."
Così è se vi pare...
A tale proposito così scrive il dott.PAOLO PAGNINI, figlio di CARLO PAGNINI:
"Si riscopre il dialetto per non farlo morire. Ma il dialetto come lingua dei padri è già morto. Con mia nonna e con tutte le persone che, come lei, conoscevano solo quell'unica forma di comunicare. Studiare QUEL dialetto come seconda lingua, ha veramente solo un significato accademico."
E' questa è purtoppo la realtà.
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